Una piaga sociale, in questo modo possiamo definire il fenomeno drammatico dei suicidi degli studenti e delle studentesse universitari/e (e in generale dei giovani sotto i 30 anni). Per quanto sia difficile trovare un’evidenza logica o statistica del fenomeno data la molteplicità di fattori sociali, psicologici e antropologici che possono spingere a dei gesti estremi delle persone (e in particolare dei giovani), è innegabile che il numero dei casi stia crescendo rapidamente, specie negli ultimi anni. Parliamo di oltre una decina di suicidi nell’ultimo triennio, con un incremento medio da circa uno o due casi l’anno a ben 4 nel 2022 (fonte: skuola.net); mentre nei soli primi mesi del 2023 i casi sarebbero già 4. Oltre i numeri, ciò che preoccupa maggiormente sono le ragioni apparentemente piuttosto esplicite di questi gesti: pressioni sociali e famigliari, solitudine, abbandono, paura di fallire e di mostrarsi deboli. Anche le modalità e le tempistiche con le quali i suicidi avvengono sono preoccupanti; alcuni casi sono accaduti poche ore prima della laurea, altri all’interno dell’università (come quello della ragazza dello IULM di Milano) e, in molte altre situazioni, l’estremo gesto è stato preceduto da mesi o addirittura anni di omissioni e bugie sull’andamento degli esami universitari. Insomma, si tratta di gesti piuttosto evidenti che dimostrano un forte stato di malessere e paura nell’ambito del percorso universitario e di carriera.
Inoltre, nessuna zona del Paese, nell’ultimo triennio, è stata risparmiata da episodi drammatici di questo genere. Da sud a nord, i suicidi sono diffusi e localizzati, a dimostrazione del fatto che la problematica ha una portata nazionale.
Per queste ragioni, il tema merita un’analisi molto approfondita e un interessamento continuativo. Sforziamoci, noi studenti e studentesse, di parlarne e di dibatterne, affinché i casi non rimangano isolati e non ci si dimentichi in breve tempo del problema, come spesso accade. Occorre comprendere le motivazioni che stanno dietro questo dramma e iniziare a capire quali azioni strategiche e pratiche mettere in atto per prevenire ulteriori tragedie.
Ora, ciò che lascia (o dovrebbe lasciare) piuttosto interdetti di fronte ad un fenomeno così drammatico e delicato, è la strumentalizzazione politica di cui esso è diventato oggetto nella discussione pubblica, sia tra partiti politici che a livello universitario, tra le associazioni politiche studentesche. Il tema dei suicidi tra gli universitari e dei giovani in generale, che ha radici profonde e in buona parte sconosciute alla psicologia al momento, è stato ridotto ad un dibattito del tutto ideologico e poco definito sulla società, troppo o troppo poco competitiva. Come se dietro le ragioni di un suicidio possano esserci soltanto fattori politici e sociali e non altri numerosi e complessi fattori psicologici… Questa strumentalizzazione del tema “giovani e universitari” è chiaramente collegata alla discussione sulla tematica del merito e della società del merito, su cui destra e sinistra si scontrano da sempre e che a fine 2022 è giunta all’apice della discussione quando l’attuale Governo ha deciso di rinominare, a scopo puramente politico-elettorale, il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca in Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Non abbiamo potuto non notare come tante realtà politiche giovanili e non abbiano “colto la palla al balzo” per titolare e spesso gridare, in modo del tutto privo di fondamento analitico e razionale di qualche tipo, contro il merito e la competizione. Ci chiediamo, ma fino a che punto è accettabile utilizzare singoli eventi di tale drammaticità per lanciare dei messaggi politici e ideologici? La risposta possiamo darcela da soli… Ciò che invece risponderebbe la politica, a vari livelli, è che no, non è vero che si sta cercando di politicizzare e ideologizzare la questione, semplicemente si sta dando voce alla comunità studentesca, la quale si sente sopraffatta e alienata da una società iper-competitiva. Ora, anche qualora ciò, il sentire comune, fosse questo, e probabilmente lo è, ciò non significa che il sentimento popolare sia basato sui fatti e sulla realtà, in quanto sappiamo bene quanto esso possa essere influenzato dall’informazione, dai media e dalla società. Responsabilità della politica, e in questo caso anche delle associazioni politiche studentesche, dovrebbe essere, prima di dar voce alla propria comunità, analizzare dettagliatamente la natura del problema e, successivamente, costruire consapevolezza rispetto ad esso e alle potenziali soluzioni. In che modo? Anzitutto facendo informazione e sensibilizzazione in modo analitico e profondo e avvicinando le persone agli argomenti, non parlando per slogan e dando informazioni parziali con il semplice fine di massimizzare il proprio ritorno individuale. Questo sarebbe fare politica… Ma si sa, chiediamo troppo, soprattutto se consideriamo l’attuale livello della politica italiana.
Dunque, quanto è stato fatto negli anni, a livello sia politico che accademico, per capire quali siano le reali ragioni che stanno dietro il malessere generazionale che sta colpendo studenti e giovani in generale? Praticamente nulla, solo slogan generici e qualche accusa qui e là sulla mancanza di sostegno psicologico (anch’essa generica, seppur sacrosanta). Mai ci si è sforzati di osservare e giudicare quelli che sono i problemi strutturali enormi del sistema di istruzione italiano, i quali sono peraltro piuttosto evidenti a qualsiasi occhio critico e giudizioso. I dati e, in generale, i problemi noti a tutti i livelli ci riportano una situazione a dir poco drammatica. Risultati dei test INVALSI imbarazzanti per un Paese moderno e in costante peggioramento nel tempo, tasso di abbandono degli studi ben al di sopra della media europea, enormi disparità di genere tra i vari percorsi di studio universitari, nessuna università di vera eccellenza a livello internazionale (a dispetto della retorica), carenze strutturali nel collegamento con il mondo del lavoro, percentuale di laureati sul totale della popolazione tra le più basse in Europa e nel mondo moderno, strutture fatiscenti, mancanza di un sistema adeguato di orientamento al lavoro e alle professioni, arretratezza dei programmi didattici e dei modelli di insegnamento, stipendi bassissimi tra i docenti che generano un’offerta di lavoro tra la classe docente di scarso livello di competenze e poco motivata. Potremmo continuare a lungo ma ci fermiamo qui, almeno per quanto riguarda quelle che sono le evidenze, le quali sottendono a dei grandi problemi strutturali culturali che riguardano sia la scuola e l’università italiane che la società nel completo. In primis, ad esempio, la mentalità feudale e autoreferenziale che permea soprattutto l’università, dove anzianità, parentele e conoscenze e formalità arcaiche hanno un peso enorme sulla carriera dei giovani. Per non parlare poi dell’approccio obsoleto ai metodi di insegnamento e di comunicazione che si riflette in programmi didattici poco pratici, troppo teorici, spesso densi di ideologismi e distaccati dalla realtà. E ancora, l’enorme limite del nostro sistema di istruzione secondaria, ancorato ad una visione ampia e generalista della formazione e che da pochissima attenzione al singolo individuo; mentre in tantissime scuole superiori di altri paesi moderni gli studenti e le studentesse hanno la possibilità di personalizzare il proprio percorsi di studi e girare tra le varie classi, conoscendo meglio se stessi/e, in Italia ancora esistono le cosiddette “classi pollaio” con giovani obbligati a seguire ore e ore di lezioni spesso non di loro particolare interesse. Quest’ultimo problema è probabilmente una delle principali cause della percentuale bassissima di immatricolazioni all’università rispetto ad altri paesi, così come del malessere di tanti giovani.
Ecco, tutto questo, con il merito e la competizione, non c’entra proprio nulla, anzi… Ci chiediamo quindi: possibile che nessuno, persino tra i Rappresentanti degli Studenti, prima di andare filosoficamente ad accusare l’impatto della società del merito e della competizione, si sia chiesto, di fronte a questi fatti di dominio pubblico, in che modo il basso livello dell’istruzione e l’ambiente universitario influenzino il benessere psicologico degli studenti e delle studentesse? Eppure, è abbastanza logico pensare che persone poco formate, non pronte ad entrare nel mondo del lavoro e indecise sul loro percorso di vita possano andare incontro a dei problemi psicologici. Lo studio serve al nobilissimo e utilissimo scopo dell’autodeterminazione culturale, professionale e sociale degli individui nella società e quando esso fallisce nella sua missione, ciò può chiaramente generare problemi molto rilevanti. Compito della politica sarebbe interessarsi prima di tutto dello stato dell’arte dell’istruzione, che è probabilmente il bene pubblico più importante, non blaterare di grandi sistemi senza alcun fondamento…
Ma attenzione, dicendo questo non vogliamo in alcun modo affermare che la causa principale dei suicidi sia il livello dell’istruzione italiana. È infatti vero che in altri paesi con sistemi molto più avanzati ci sono percentuali ben più alte di suicidi giovanili. Ribadiamo, come scritto in precedenza, che individuare delle cause che influenzano fenomeni di suicidio è scientificamente quasi impossibile data la molteplicità di fattori di vario tipo in gioco. Ciò che vogliamo esprimere è che tematiche delicate come questa dovrebbero essere affrontate con grande senso comune ma anche logico e analitico, e non con opportunismo politico. E affrontare la questione in questo modo significa partire dalle evidenze e dai fatti descritti sopra, al fine di trovare soluzioni concrete e reali a problemi, e non possibili capri espiatori.
La mancanza di attenzione generalizzata ai gravissimi problemi dell’istruzione in Italia genera, per conseguenza logica, la quasi totale assenza di proposte di soluzioni da tanto tempo. Tra i programmi politici dei vari partiti candidati alle ultime elezioni le proposte innovative per scuola e università erano pressoché inesistenti, salvo qualche sparata sull’incremento dei fondi disponibili. Nessun cenno CONCRETO ad un cambiamento dei programmi didattici, ad attività di potenziamento del collegamento con il mondo del lavoro, ad un aumento delle risorse alla ricerca, a programmi per favorire l’autoimprenditorialità, ad un miglioramento delle infrastrutture tecnologiche negli spazi universitari, ecc. Niente di tutto questo, da tanti, troppi anni.
Discutere di come la società odierna, certamente competitiva e complessa, influenzi il benessere delle persone è giusto, ciò che è profondamente sbagliato, oltre che estremamente arrogante, è individuare e proclamare come causa di tutti i mali qualcosa che sta sopra di noi, perché è come cercare un modo per non guardarsi dentro e osservare i propri problemi. Di fronte a dei drammi così grandi come quelli dei nostri colleghi e delle nostre colleghe, ciò che vorremmo da parte di chi ci rappresenta è un atteggiamento un po’ più umile, pragmatico e autoriflessivo… Perché le nostre generazioni meritano un’attenzione e azioni ben più profonde di qualche urlo contro il merito e la competizione.
La Comunità di Uninformazione