La ferita subita dagli azionisti ed obbligazionisti delle quattro banche italiane salvate in extremis dal loro default ancora brucia, ma quel che il Governo sembra stia facendo in questi giorni può essere definita, in un certo senso, una sutura a quel taglio profondo che ha letteralmente prosciugato i milioni dei piccoli risparmiatori.
Pare infatti che a Palazzo Chigi sia al vaglio l’ipotesi di istituire un fondo di circa 100 milioni, con partecipazioni bancarie o pubbliche, che vada a rigenerare del 30% le perdite subite dai proprietari dei titoli degli istituti di credito.
Si parla, inoltre, della possibilità di attuare un credito di imposta nei confronti dei soggetti danneggiati da farsi valere posteriormente.
In ogni caso, qualsiasi sia la decisione che si attuerà in concreto, sarà completamente slegata dal contesto del piano di salvataggio bancario; piuttosto potrà essere vista come una misura sociale a sostegno delle categorie più deboli dei risparmiatori colpiti dalla (mezza) operazione di bail-in dei quattro istituti creditizi.
Nel frattempo se da un lato l’esecutivo prende tempo mentre cerca di sbloccare la pesante situazione creatasi, dall’altro il Codacons è sul piede di guerra. L’ente a tutela dei diritti dei consumatori infatti, pare abbia intenzione di impugnare al TAR del Lazio qualsiasi provvedimento governativo che vada a rimborsare solo parzialmente le perdite subite dai risparmiatori, con il fine ultimo di dimostrare l’incostituzionalità delle relative misure davanti la Corte Costituzionale.
Un’intenzione, quella dell’ente suddetto, che ben si associa al pensiero dei risparmiatori che si definiscono: “frodati, spinti ad acquisire dallo stesso personale bancario titoli dichiarati sicuri, dai bassi rendimenti e quindi difficilmente soggetti a speculazione finanziaria”.
Sul piano partitico, invece, il PD mette sul tavolo la possibilità di usare come rimborsi i proventi derivanti dalle azioni giudiziarie indette contro gli ex vertici degli istituti di credito salvati; Scelta Civica si fa avanti con un progetto di sgravio fiscale del 26% su passivi dal tetto massimo di 50mila euro, ma da molti fronti c’è invece la richiesta di distribuire le eventuali plusvalenze della “bad bank” nelle tasche dei risparmiatori.
Quest’ultima ipotesi è stata subito smentita da Roberto Nicastro, presidente dei quattro rifondati istituti di credito, che si fa portavoce delle direttive emanate da Bruxelles: “nel caso dovessero costituirsi degli attivi, questi confluiranno esclusivamente nelle casse dell’organo risolutivo della delicata situazione”.
Comunque, mentre ognuno dice la propria sulla questione, circa 700 obbligazionisti delle “vecchie” banche salvate hanno enunciato lo spostamento dei loro residui di risparmi verso altri istituti considerati come depositi più sicuri di quelli che, di colpo, hanno fatto sfumar loro riserve per circa 800 milioni euro.