L’Italia non è ancora uscita dal tunnel della crisi economica, nonostante i tanti anni trascorsi e le extra misure intraprese dalla Bce. La crescita del Pil e degli altri indicatori è ben al di sotto della media europea, le tensioni economiche, politiche e sociali sembrano crescere ogni giorno e ciò che funziona è davvero poco. Molti problemi appaiono essere non congiunturali ma strutturali ed è questo, forse, ciò che desta maggiore preoccupazione. Il sistema pensionistico, in primis, sembra essere arrivato alla frutta, la disoccupazione giovanile sta toccando picchi mai raggiunti, i tassi di natalità non accennano ad aumentare, le disuguaglianze aumentano e le crisi sociali all’interno delle grandi città si moltiplicano. Dati e fatti che preoccupano ben di più delle stabilità finanziaria, dell’inflazione, del debito pubblico e della crescita del Pil, in quanto sono sintomi palesi di una nazione allo sbando e senza prospettive future di lungo periodo. Dunque, pare scontato a dirsi ma non lo è, urgono riforme strutturali e progettuali di lungo periodo, che incidano su un progetto di rilancio del nostro popolo e della nostra nazione. Alla politica il compito di impegnarsi seriamente e uscire dalle solite azioni orientate unicamente al rispetto della stabilità finanziaria e al raggiungimento di consenso elettorale.
Al di là di ciò, ritengo che, più di tutto, il nostro Paese abbia bisogno di fiducia e ottimismo. Certo, sembra facile a dirsi considerati i dati avvilenti sulla nostra economia, ma uno spirito positivo è assolutamente fondamentale per far ripartire un Paese, specie in nazioni diffidenti e poco propense al rischio come l’Italia. D’altronde poi, pur essendoci alcuni dati impietosi, qualche segnale positivo (ben al di sotto della media Ue) arriva e non va certo sottovalutato: gli investimenti lentamente ripartono e crescono particolarmente quelli in beni immateriali, l’export cresce in maniera sostenuta, il turismo è in fase di grande espansione in diverse aree, la disoccupazione cala di qualche decimo percentuale e i dati sul Pil relativi a questo primo trimestre appaiono positivi e al di sopra delle aspettative, anche per il mezzogiorno. Da non sottovalutare poi, alcuni modelli esemplari di buona amministrazione, sia regionale che comunale, i quali indicano che, dove il senso civico e politico si diffondono, un cambio di rotta è ancora possibile. Ovviamente, questi sono solamente flebili segnali, specie se consideriamo che questo periodo è caratterizzato dalla forte espansione monetaria voluta dalla Bce, ma un briciolo di speranza in più i cittadini dovrebbero averla come condizione necessaria per rilanciarci.
Il problema alla base dell’economia italiana è la carenza di investimenti privati, dovuta ad una generale sfiducia verso il sistema ma anche ad una propensione personale orientata al risparmio. La nostra è una nazione che ha tanti denari e risorse nel privato, ben oltre altri Paesi più avanzati di noi, ma queste risorse finiscono per non essere investite e rimanere nei conti correnti. Un progetto economico serio dovrebbe mirare a rilanciare la fiducia e quindi gli investimenti nostrani ed esteri.
Di sicuro, la classe politica, non aiuta la diffusione di entusiasmo e spirito di rilancio condiviso, vista la continua e spesso indecente ricerca delle notizie economiche e sociali negative rispetto a quelle positive. L’opposizione politica ai governi italiani non è più obiettiva ormai dagli anni ’90! Gentiloni sta facendo un lavoro all’altezza se si considerano i poteri provvisori di cui gode e le sue scelte di politica estera, tanto moderate quanto ferme e decise. Ma nessuno parla mai di buona amministrazione in questo Paese e questo è un problema molto grave. Anno dopo anno, l’unico obiettivo delle forze politiche, sembra quello di guadagnare uno spazio di consenso, senza la minima attenzione alla crescita e allo sviluppo, tranne in casi particolari. Il nodo di fondo continua ad essere sempre lo stesso, ovvero un sistema politico che si autoalimenta e che non riesce, per interessi partitici e personali, a costruire un progetto serio e condiviso, per il rilancio del Paese nel lungo periodo.
Tuttavia, in assenza di una volontà della classe politica di diffondere fiducia, sta a noi essere ottimisti e saper cogliere quei segnali positivi che qualche volta si presentano. Quando la politica è stagnante, sta al popolo stesso riappropriarsi del destino del proprio Paese e cercare, con l’entusiasmo, lo spirito di unione e la cultura, di farlo crescere, nonostante i problemi strutturali evidenti. D’altronde, è un po’ quello che successe nel dopo guerra, quando l’Italia seppe trovare nel popolo quello spirito di rivalsa necessario per creare il grande boom economico. A partire da questi dati positivi di alcuni rami dell’industria (anche innovativa), dagli esempi di buona amministrazione e condivisione sociale e da alcuni dati di crescita di certi settori, spetta a noi ripartire con fiducia e costruire il progetto dell’Italia che vogliamo. Le solite brutte notizie vanno ascoltate e valutate, ma insieme a quelle buone. Non me ne vogliano i media e i partiti…