Ricorderemo tutti quante delle scorse campagne elettorali in Italia si siano combattute, tra centrodestra e centrosinistra, sulla riduzione delle tasse sugli immobili e l’abolizione dell’IMU sulla prima casa. Ancora oggi una parte piuttosto che un’altra cercano di prendersi il merito di aver eliminato la tassa più discussa della storia, mentre nessuno, tra gli esponenti della politica italiana, ha mai osato, negli ultimi anni, proporre una riforma fiscale che l’Ue ci chiede ormai da tempo e che trova un’importante giustificazione economica. Si sa, la distanza tra politica è ciò di cui effettivamente ha bisogno il Paese è siderale e a nessun politico converrebbe, in termini di consenso elettorale, annunciare una grande riforma fiscale per l’innalzamento delle tasse sugli immobili; sarebbe a dir poco impopolare considerando quante tasse una famiglia italiana è costretta a pagare al fronte di servizi scadenti.
Tuttavia, l’innalzamento delle aliquote sugli immobili, non è più soltanto un’idea di qualche tecnocrate dell’Ue ma un’esigenza economica per l’Italia e le motivazioni sono di contesto generale. La tassazione sugli immobili è mediamente bassa rispetto al resto dell’Unione e questo nonostante una percentuale elevatissima dell’80% di proprietari di casa (ottimo bacino per propaganda elettorale), rispetto ad altri paesi che stanno addirittura sotto il 30%. Questo significa in primis che un innalzamento dell’aliquota genererebbe un grande gettito fiscale per le casse dello Stato. Inoltre, dalle analisi di numerose serie storiche correlate effettuate da diversi economisti si evince come la percentuale di proprietari di casa in Italia non è mai variata significativamente negli ultimi 30 anni al variare dei prezzi e delle tasse. Dimostrazione, per quelli un po’ più pratici di economia, che la casa è un bene relativamente inelastico per i cittadini italiani, i quali difficilmente variano i loro acquisti al variare dei prezzi. In conclusione, la casa è un bene fondamentale, per cultura e tradizione, per gli italiani ed è proprio questo il motivo per cui una tassazione più alta, ma comunque nella media, produrrebbe un ingente gettito, senza causare una grande perdita sociale.
Ovviamente tutto questo vale, a livello di welfare generale, soltanto se strumentale ad un altro obiettivo fiscale: la riduzione della tassazione sui fattori produttivi e del cosiddetto cuneo fiscale. Il capitolo sulla tassazione dell’European Semester Country Report Italy 2018, diffuso lo scorso 7 marzo dalla Commissione Europea, riporta che il cuneo fiscale sul lavoro, in Italia, è stato uno dei più alti dell’Ue (il 47,8% del salario medio, rispetto alla media Ue del 40,6%), mentre nel 2015 il carico fiscale sul capitale ha raggiunto, anche in questo caso, uno dei livelli più alti (10,9% del PIL, rispetto alla media UE 8,4%). Da qui l’invito del report all’Italia ad implementare misure atte a spostare la tassazione dal lavoro a consumi e proprietà, al fine di permettere l’incremento degli investimenti e lo sviluppo dell’occupazione.
Il discorso è molto semplice: il lavoro, rispetto all’immobile, è un fattore tremendamente elastico ai prezzi e questo per via delle sue caratteristiche peculiari e della forte mobilità globale che lo contraddistingue. Per questo, un cuneo fiscale così elevato e allo stesso tempo una grande complessità fiscale come la nostra, hanno un effetto negativo molto evidente sull’occupazione e sulla produttività e rendono la nostra economia meno competitiva a livello internazionale. L’Italia ha bisogno oggi di dare stimoli forti al mercato del lavoro ed essi, in mancanza di risorse, sono possibili soltanto con una riallocazione della spesa pubblica e un efficientamento del sistema fiscale.
Tornando all’impopolarità della proposta, certamente sarebbe molto bello un mondo senza tasse o con aliquote molto basse, ma sappiamo che questo non può esistere, in quanto lo Stato deve far fronte ad un bilancio e ad un debito pubblico e per far ciò necessita di un ammontare minimo di introiti. Il suo compito è quindi quello di impostare un sistema fiscale efficiente che gli permetta di ottenere i maggiori introiti possibili senza andare a danneggiare il benessere dei cittadini e il mercato nazionale. Ma questo alla politica, al momento non interessa. In futuro chissà…