In vista dell’atteso referendum del 4 Dicembre sulla Riforma Costituzionale, noi di UnInFormazione abbiamo deciso di organizzare un ciclo di quattro incontri sull’argomento in questione, al fine di riuscire ad avere una prospettiva tecnica e oggettiva e poterla poi condividere con i nostri lettori. Nel primo incontro abbiamo fatto un excursus generale sulla riforma, approfondendone la storia, le vicissitudini e le motivazioni.
Partendo dai motivi, è ormai da circa 35 anni che si parla di una legge di revisione costituzionale che possa eliminare il famoso bicameralismo perfetto che contraddistingue il nostro Paese. Fin dai tempi della Costituente, e quindi dal momento della stesura della nostra Costituzione, si era molto indecisi su quale assetto governativo adottare; c’era chi voleva un sistema presidenziale, chi un sistema parlamentare e altri ancora un sistema direttoriale. Le altre discussioni riguardavano: l’assetto parlamentare (monocamerale o bicamerale); la ripartizione dell’ordinamento su scala regionale; la presenza di una Corte Costituzionale idonea ad approvare o annullare leggi statali e regionali; gli strumenti di democrazia partecipativa diretta. La Costituente prese la sua decisione mediando tra gli interessi di varie parti politiche: scelse un sistema parlamentare bicamerale paritario con due camere dotate degli stessi poteri. Non si discusse tanto di riforma costituzionale e di possibili ritardi nell’iter legislativo e nella stabilità dei governi fino all’inizio degli anni ’80, quando il rallentamento della crescita e le tensioni tra i partiti sfociarono in un malcontento generale verso le istituzioni. Fu allora che si iniziò a parlare di riforma del sistema bicamerale e allo stesso tempo di federalismo regionale. Nell’arco di poco più di 30 anni sono stati tanti i tentativi di riforme alla Costituzione, soprattutto nell’ambito del superamento del bicameralismo perfetto: prima ci provò Berlusconi, poi D’Alema e poi ancora Berlusconi per poi concludere con l’ultimo inutile tentativo del Governo Letta. L’unica vera grande riforma a cui abbiamo assistito e di cui oggi vediamo un ulteriore tentativo di modifica con la Renzi-Boschi, è la Revisione del Titolo V riguardante Stato e Regioni, operata nel 2001.
L’attuale grande riforma, la più grande nell’era repubblicana, nasce alla luce delle elezioni del Febbraio 2013, quando ci si trovò di fronte ad una palese ingovernabilità del Paese, per via del sistema tripolare PD, PdL e M5S. Colpa quindi di un sistema parlamentare e una legge elettorale inadeguati oppure di un sistema politico e partitico da riformare? Difficile da capire. Ma torniamo a noi. In questa situazione di stallo governativo, si affermò un secondo Governo tecnico, quello presieduto da Enrico Letta. Quest’ultimo durò per neanche un anno per essere poi rimpiazzato dal giovane rottamatore Matteo Renzi, ormai Segretario del PD e leader più apprezzato d’Italia. Renzi costruisce il suo Governo grazie a larghe intese anche esterne alla propria parte politica e impronta tutto il suo operato su uno sfrenato riformismo, mettendo in cima alla sua agenda la riforma del sistema parlamentare e delle competenze tra Stato e regioni.
Grazie al famoso Patto del Nazareno tra il nuovo premier e Silvio Berlusconi, nasce l’accordo ultimo da cui è nata la nuova legge elettorale Italicum e l’intera riforma costituzionale. L’intero centro-destra, sia NCD che Forza Italia, voterà in prima lettura al Senato la proposta di legge nella sua versione quasi definitiva, salvo poi uscire dall’aula di fronte alla lettura alla Camera. Nascono qui i dubbi su un presunto “tradimento” da parte di Renzi rispetto a quanto stabilito al Nazareno. La Renzi-Boschi è stata scritta dai funzionari del Ministro per le Riforme Costituzionali Maria Elena Boschi e modificata col lavoro dei relatori Anna Finocchiaro (PD) e Roberto Calderoli (Lega). Si comprende abbastanza facilmente che le spinte a questa riforma sono state dell’intero PD e di una parte piuttosto frammentata quale il centro-destra. Tra le varie letture alla Camera e al Senato, le maggioranze che hanno approvato la legge, si sono dimostrate sempre abbastanza costanti, a dimostrazione che dalla sponda destra della politica non si è avuto un reale ostruzionismo verso la riforma, specie all’inizio. E’ fondamentale comprendere questo punto in quanto oggi, a poche settimane dal referendum, il PD e lo stesso centro-destra, appaiono, rispettivamente, piuttosto frammentati nel voto. Questo probabilmente a causa del fatto che questa votazione appare anche, in buona parte, come un’occasione per mandare a casa un nemico politico.
Renzi ha sbagliato, politicamente ed eticamente parlando a personalizzare la riforma, la quale vede oggi contrapposte parti politiche che in realtà per 30 anni hanno spinto affinché essa si realizzasse. L’ennesima occasione mancata per giungere ad una modifica paziente, ragionata e soprattutto condivisa, del nostro apparato costituzionale e del nostro sistema di Governo. Il nostro è quindi un problema politico più che di apparato costituzionale? Potrà servire una modifica del sistema governativo a dare più stabilità al Governo e al procedimento legislativo?