Il nostro ciclo di incontri sulla tanto discussa riforma costituzionale procede e, nella nostra seconda riunione, abbiamo analizzato sotto diversi aspetti uno dei capisaldi del documento legislativo per il quale gli italiani voteranno il 4 Dicembre: il nuovo Senato.
Il primo importante elemento della riforma in questi termini è la riduzione del numero di senatori: da 315 (più i senatori a vita) si passa a 100 parlamentari; 21 di questi saranno eletti fra i sindaci dei territori regionali, 74 all’interno di tutti i consigli regionali e, infine, 5 cittadini illustranti la Patria per alti meriti artistici, letterari e similari, saranno nominabili dal Presidente della Repubblica; questi dureranno in carica sette anni e non saranno rieleggibili. Continueranno comunque a rimanere senatori a vita tutti gli ex Presidenti della Repubblica ed i futuri che decadranno dalla suddetta carica.
Ed ancora, proprio in riferimento all’inquilino del Colle, egli non sarà più eletto dal Parlamento in seduta comune insieme ad i 58 delegati regionali, bensì saranno soltanto i 630 deputati più i 100 senatori ad eleggerlo congiuntamente. E, se è vero che il Presidente della Repubblica è la prima carica istituzionale in Italia, la seconda, con questa riforma, sarà rappresentata non più dal Presidente del Senato ma bensì da quello della Camera dei Deputati.
I 100 senatori, quindi, rappresenteranno le istituzioni territoriali dalle quali essi proverranno e non più la Nazione, sempre in maniera proporzionale alla popolazione dei territori di provenienza ed in base ai dati risultanti dall’ultimo censimento.
Tuttavia, l’articolo 57 del testo della riforma costituzionale rimanda ad una “successiva legge approvata da entrambe le Camere” i criteri e le modalità elettive e sostitutive dei futuri senatori. In pratica, sarà la legge elettorale a dover disciplinare questi importanti aspetti delle funzioni parlamentari dei neo-eletti a Palazzo Madama.
I nuovi senatori comunque beneficeranno dell’immunità parlamentare, – poiché l’articolo 68 disciplinante questo aspetto è rimasto identico a quello attuale- mentre l’indennità di carica, secondo l’articolo 69 così riformato, sarà corrisposta soltanto ai deputati della Camera. Niente si evince, però, circa l’ufficiale soppressione di rimborsi spese per i senatori che, in questo caso, graverebbero separatamente nel bilancio di Palazzo Madama.
Se invece andassimo a esaminare gli aspetti dell’elettorato attivo e passivo, per il nuovo organo di rappresentanza territoriale che così si costituirebbe, noteremmo che la facoltà di votare e candidarsi al “Senato dei 100” è, con queste nuove disposizioni legislative, riservata praticamente ad ogni cittadino italiano che abbia compiuto i 18 anni di età e goda di pieni diritti civili e politici; questo perché l’articolo 58 che regola questo aspetto con la riforma è stato abrogato.
Per quel che concerne la durata temporale di questo Senato, la modifica dell’art.60 della Costituzione prevederà che soltanto la Camera dei Deputati avrà una durata stabilita di cinque anni – salvo scioglimento anticipato delle camere – nulla specificando in merito al Senato che, dato il legame che sussiste fra carica senatoria e carica elettiva regionale-locale, si presume avrà una composizione variabile; a meno che non vengano unificate in un singolo periodo le elezioni regionali e comunali del territorio italiano.
Quindi, in riferimento alla indizione di nuove elezioni sostitutive dei componenti della legislatura precedente, l’articolo 61 così modificato prevede soltanto per la Camera dei Deputati un termine massimo di 70 giorni entro i quali si dovranno fissare i giorni delle nuove elezioni.
Il Senato non viene disciplinato in questo senso, ancora in virtù della sua particolare composizione “a rotazione” che abbiamo descritto precedentemente.
Sono comunque ancora i regolamenti delle Camere, stabiliti a maggioranza assoluta dei propri componenti, a tutelare i diritti delle minoranze parlamentari -come ad esempio quelle linguistiche-; ma un cambiamento piuttosto importante è quello riportato sempre nello stesso articolo 64 il quale afferma che, lo statuto delle opposizioni, sarà disciplinato da quello della Camera dei Deputati.
Circa la pubblicità delle sedute (salvo adunanze in seduta segreta) e i quorum deliberativi necessari per deliberare in termini legislativi, il Referendum lascia intoccato i relativi commi dell’articolo 64.
L’aspetto più importante forse, oltre alla riduzione del numero dei seggi, riguarda le competenze legislative decisamente ridotte di questo nuovo Senato: il sistema del doppione relativo alla classica navetta parlamentare verrebbe applicato, in caso la riforma venisse approvata, soltanto per leggi costituzionali e di revisione costituzionale; per le disposizioni costituzionali tutelanti le minoranze linguistiche; per i referendum popolari; per le leggi relative all’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni principali di Comuni e Città metropolitane; per le leggi che regolano l’attuazione legislativa italiana delle politiche comunitarie e, infine, per le norme che determinano i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con la carica di senatore.
Per tutti gli altri settori regolati da leggi ordinarie, il Senato potrà comunque esprimere un proprio parere alla Camera dei Deputati, ma questa potrà ignorarlo e procedere lungo il suo iter legislativo.
Giusta o sbagliata? Inutile o necessaria? Certo è che questa riforma costituzionale rappresenta certamente un simbolo di una decisa virata rispetto ad una certa rotta degli organi istituzionali, intrapresa ormai settant’anni fa e immutabile dall’epoca dei nostri padri costituenti.