Nuova Pill su uno degli argomenti più scottanti delle ultime settimane se non degli ultimi mesi, per usare un eufemismo. Parliamo di Brexit e lo facciamo partendo dalla sua storia e limitandoci, per ora, a ciò che si sa.
First of all: Cos’è la Brexit?
Con il termine Brexit s’intende l’uscita dall’Unione Europea da parte della Gran Bretagna, in conformità con quanto stabilito dall’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea e per effetto del referendum consultivo svoltosi il 23 giugno 2016. Essa si pone come rottura definitiva dei deboli rapporti tra le due parti, rapporti mai sugellati appieno se si pensa, a titolo di esempio, al rifiuto opposto alla moneta unica dai britannici.
Negli episodi precedenti: riassumiamo
La prima conseguenza della corsa alle urne è l’infelice uscita di scena del primo ministro David Cameron, conservatore in carica fino al luglio 2016, dapprima favorevole poi contrario al provvedimento, a tal punto da incoraggiare al dietro front i propri concittadini. Gli succede Theresa May, leader del Partito Conservatore, sotto la cui approvazione, nel marzo 2017, viene consegnata a Donald Tusk (presidente del Consiglio Europeo, ndr) la lettera che ratifica la procedura prevista dal suddetto articolo 50. Si giunge, poi, al luglio 2019: May abdica al ruolo di leader dei Tories non avendo ottemperato alla promessa di portare a compimento la Brexit e cede il posto a Boris Johnson, eletto, dopo, premier. Dalla mezzanotte del 31 gennaio 2020 il Regno Unito cessa di essere un membro dell’Unione Europea.
Cosa sta succedendo?
Fino ad ora l’adesione all’UE è stata il collante dei vari tasselli del Regno Unito. Adesso, però, emergono svariate crepe preannuncianti un’ipotetica deriva dei suoi territori: insomma, a detta di molti, la Brexit sta smembrando l’unità del Regno stesso. Essa porterà a creare un vero e proprio confine tra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna, cementando il legame della prima con la dirimpettaia a Meridione. Invece, per quanto concerne la Scozia, di cui è noto il desiderio di separazione dal Regno, consolidato, peraltro, dalle preferenze lì espresse nel referendum del 2016, si ravvisa un inasprimento dell’acredine: il concedere all’Irlanda del Nord di restare in linea con il mercato dell’UE, non estendendo tale iniziativa agli scozzesi, non farà altro che girare il coltello nella piaga della scissione.
Ricordiamo che, nella pratica, cittadini e imprese non hanno subito la Brexit, per il momento. Durante il periodo di transizione, il Regno Unito rimarrà nel mercato unico e nell’unione doganale. Esso deve servire alle parti per negoziare l’accordo di partenariato che dovrà regolare i rapporti tra Bruxelles e Londra dopo il 31 dicembre.
Ma veniamo, dunque, alla domanda cruciale: a chi andrà la fetta più grossa e succulenta della torta? Chi godrà degli effetti benefici e chi di quelli nefasti del recente addio?
I pareri degli studiosi sono, ad ora, contrastanti e i tempi ancora acerbi per formulare previsioni o sfornare verità assolute sul tema: insomma, ci asteniamo dal proporre stime arrangiate sulla base del sentire comune in quanto avremmo maggiori argomenti qualora volessimo azzardare che la fortuna della Brexit è direttamente proporzionale al consenso rivolto, di recente, al carisma ammaliante del parrucchino (da Boris Johnson a Donald Trump ad Antonio Conte).
Godiamoci, pertanto, questa fase di incertezza davanti ad una tazza di Earl Grey fumante e mettiamoci l’anima in pace: a mezzanotte e tre del 31 gennaio, il Regno Unito stava già pensando ad un’altra organizzazione politica ed economica sovranazionale.