E’ ufficiale. Dal 1° Gennaio 2016 la direttiva europea varata dal Parlamento lo scorso 2 Luglio diverrà operativa. Gli istituti di credito potranno quindi, ufficialmente, attingere alle disponibilità dei propri correntisti in caso di situazioni prossime alla bancarotta. Ma prima di gridare allo scandalo o etichettare, a priori, come ladri gli enti bancari, andiamo a fare chiarezza su questo nuovo procedimento.
Il prelievo forzoso verrà, innanzitutto, effettuato sulla parte eccedente i 100mila euro del deposito.
E non solo. La categoria dei correntisti infatti sarà quella meno toccata dalla manovra finanziaria in sé, poiché rappresenta l’ultima fascia alla quale la banca andrà ad attingere.
In primis infatti andranno rispondere delle perdite dell’Istituto gli azionisti; o meglio, una particolare tipologia di essi: i detentori delle Common Equity Tier 1; in una sigla “CET1“. Queste azioni rappresentano i titoli più solidi, stabili e garantiti immessi sui mercati dalle banche.
In secondo luogo sopraggiungono i così detti AT1; ossia gli Additional Tier 1. Queste azioni possiedono la peculiarità di essere direttamente assorbite dall’ente, nel caso di una sua insolvenza, qualora gli indici patrimoniali dello stesso scendessero sotto una certa soglia di solidità. Inoltre essi sono generalmente mai rimborsati dall’ente; se non dopo un certo arco di tempo stabilito dal medesimo.
CET1 ed AT1 vanno quindi a formare, insieme ad altri fattori, il così detto patrimonio di vigilanza. Esso è quel quantum finanziario, detenuto imprescindibilmente dalle società emittenti, diretto a soddisfare i requisiti minimi di vigilanza prudenziale. Per essere più chiari ed esaustivi, la vigilanza prudenziale è quel criterio per la quale, la banca, andandosi a conformare con specifiche dotazioni di capitale e dati coefficienti di bilancio, andrebbe a ridurre il rischio d’insolvenza.
Terzo elemento cui l’Istituto va a spillare liquidità sono i crediti non garantiti; esigibili soltanto dopo il rimborso dei crediti privilegiati, ovvero quelli assistiti da cause di prelazione come pegno o ipoteca.
Soltanto se tutti questi elementi non dovessero risultare sufficienti a coprire le perdite della banca, la medesima andrà a prelevare sui depositi dei correntisti. Ma sempre, solo ed esclusivamente per la parte eccedente i 100.000 euro. Infine, saranno coperti dalla garanzia sui depositi anche conti correnti on-line, libretti di deposito e certificati dello stesso, sempre entro la soglia dei 100.000 euro.
In definitiva, questa risoluzione non sembra essere eccessivamente invasiva per i semplici correntisti degli enti di credito; anche se tuttavia non dovrebbero pagare terzi delle azioni compiute, in sostanza, dal personale dell’istituto di credito.
Dall’altro lato, invece, se ipotizzassimo una situazione di non-vigenza della normativa bail in, a pagare del fallimento della banca sarebbe lo Stato. Ma esso andrebbe a finanziarsi anche attraverso la collettività, e quindi tramite ognuno di noi.
E invece, proprio attraverso la suddetta manovra giuridico-finanziaria, a pagare lo scotto del fallimento saranno soltanto i soggetti direttamente interessati dall’andamento della banca, con un conseguente risparmio di tutta la restante collettività.
Come dice un famoso proverbio, non tutto il male vien per nuocere.