Attualmente ci troviamo a combattere con una pandemia che sta mietendo numerose vittime: si tratta del Covid-19, conosciuto come Coronavirus. Ma circa un secolo fa, il mondo, appena uscito dalla prima guerra mondiale, tornò ben presto in “trincea”contro un nemico invisibile: l’influenza spagnola, la prima pandemia moderna causata dal virus H1N1, che tra il 1918 e il 1919 uccise dai 50 ai 100 milioni di persone.
All’influenza fu dato il nome di “spagnola” poiché la sua esistenza fu riportata dapprima soltanto dai giornali spagnoli: la Spagna non era coinvolta nel primo conflitto mondiale, pertanto la sua stampa non era soggetta alla censura di guerra. Nei paesi belligeranti, invece, la rapida diffusione della malattia fu nascosta dai mezzi d’informazione, i quali ne parlarono come di un’epidemia circoscritta alla Spagna stessa. In realtà, si pensa che il “paziente zero” della febbre spagnola potrebbe essere stato un soldato americano che trasportò accidentalmente il virus ritornando nello stipatissimo accampamento militare di Fort Riley, in Kansas. Da quel momento, chi aveva contratto la malattia avrebbe marciato per tutti i campi di battaglia d’Europa e non solo, portandola con sé: ben un quinto della popolazione mondiale ne venne contagiato.
Quando la pandemia esplose, dal 1918 al 1920, i medici credevano che la febbre fosse causata da batteri. In ogni caso, gli antivirali non esistevano e il vaccino per la febbre non era stato ancora sviluppato. Come in molti stati oggi, le prime misure adottate mirarono a limitare assembramenti di persone: fu impedito l’accesso a teatri, chiese, scuole ed altri luoghi pubblici al chiuso. Anche la durata delle funzioni funebri venne ridotta a circa 15 minuti ed, inoltre, fu vietato sia di tossire che di starnutire in pubblico. Queste misure precauzionali in alcuni paesi durarono anche un anno intero.
Per limitare il contagio venne introdotto l’uso delle mascherine, che all’epoca erano in tessuto. Laddove non si dimostrarono efficaci, molti decisero di provare tutte le possibili alternative, tra cui mangiare facendo attenzione alla masticazione oppure evitare di indossare scarpe o vestiti troppo stretti. Si effettuavano gargarismi con il bicarbonato di sodio e l’acido borico, impacchi di sale nelle narici e si adoperavano cipolle in tutti i pasti.
Dopo la guerra e con la lenta ripresa della vita quotidiana, unita ad importanti sviluppi medici e a un incremento delle difese immunitarie contro il virus, l’influenza spagnola incise sempre di meno sulla vita delle persone. Tuttavia, anche a quel tempo, la cittadinanza dovette rinunciare ad alcune libertà, limitando i propri movimenti. Negli anni ’30 si scoprì che la causa della febbre fu un virus e, nel 1938, Jonas Salk e Thomas Francis svilupparono il primo vaccino contro di esso.
La pandemia di spagnola contribuì a rafforzare la necessità di sistemi sanitari pubblici: ieri più di oggi, solo le persone facoltose riuscivano a farsi curare. Ma, come stiamo vedendo ora, i virus colpiscono in modo “democratico”, senza distinzioni di reddito e nazionalità: non possiamo permetterci che qualcuno timoroso di aver contratto il Coronavirus continui a lavorare perché senza assicurazione sanitaria, perché nel suo Paese si pagano cure e tamponi o perché rischia di perdere il lavoro.