13 Aprile 1970
“Houston, abbiamo avuto un problema”: questo il messaggio dell’astronauta Jack Swigert del 13 aprile 1970, esattamente 50 anni fa, quando si trovava con i colleghi Fred Haise e James Lovell a 321.860 chilometri dalla Terra. La missione Apollo 13 finì così per diventare il più famoso ‘fallimento di successo’ della NASA.
Apollo: un programma in espansione
Alla fine degli anni ’60, dopo la conquista della Luna, l’umanità era rivolta ad ampliare i programmi spaziali.
In particolare, la NASA pianificò una serie di missioni lunari, successive al famoso allunaggio dell’Apollo 11. Il programma Apollo, quindi, non si concluse col primo passo sulla Luna di quel 20 luglio 1969. Successivamente la NASA, infatti, poté godersi un nuovo successo con la missione Apollo 12. Non è strano quindi pensare che, quando l’11 aprile 1970 fu lanciato l’Apollo 13, le missioni lunari con equipaggio sembravano ormai una realtà a portata di mano
Viaggi di routine
Apollo 11 aveva entusiasmato miliardi di persone, Apollo 12 le aveva incuriosite, Apollo 13 le avrebbe lasciate quasi indifferenti. Ci si abitua sempre un po’ a tutto, così era stato anche per i viaggi verso la Luna. Dopo due missioni, eseguite perfettamente e senza imprevisti, la percezione era che non fosse poi così insolito che tre esseri umani partissero su un razzo e che due dei membri dell’equipaggio facessero una passeggiata sulla Luna.
La navicella e l’equipaggio
La navicella spaziale Apollo era composta da due veicoli indipendenti uniti da un tunnel. L’orbiter (l’astronave nella quale sarebbe rimasto l’equipaggio durante il viaggio dalla Terra alla Luna) e il lander Acquarius (modulo lunare). L’11 aprile del 1970 intorno alle otto di sera (ora italiana) Lovell era seduto nel modulo di comando, una capsula spaziale a forma di tronco di cono, insieme ai suoi due compagni di viaggio: Jack Swigert, 38 anni e Fred Haise, 35 anni (quest’ultimo sarebbe dovuto scendere sul suolo lunare insieme al comandante Lovell), entrambi alla loro prima missione spaziale.
Il lancio
Il conto alla rovescia per il lancio terminò alle 20:13 con l’accensione dei motori del razzo Saturn V, che in una fragorosa nuvola di fuoco, fumo e vapore lasciò la rampa di lancio di Cape Canaveral (Florida). A parte un imprevisto con un motore del secondo stadio, che causò qualche temporanea apprensione, il lancio fu un successo. L’equipaggio, così, poté iniziare il viaggio di tre giorni per raggiungere il cratere Fra Mauro, la destinazione sulla Luna.
Una frase entrata nella storia
All’inizio del terzo giorno di missione, Lovell condusse una diretta televisiva (anche se poco seguita) per mostrare al pubblico gli interni di Odyssey e di Aquarius. Alla fine della diretta, Swigert aveva da poco azionato il miscelatore di uno dei quattro serbatoi di ossigeno. Circa un minuto e mezzo dopo, il rumore degli strumenti fu sovrastato dal rumore di un’esplosione piuttosto forte. Il serbatoio dell’ossigeno numero 2 del modulo di servizio era esploso. Questo a causa di alcuni cavi elettrici che, all’apertura dell’alimentazione, generarono una scintilla dando origine alle fiamme. Swigert comunicò immediatamente con Houston: “Okay, Houston, abbiamo avuto un problema qui”. Il centro di controllo chiese di ripetere la comunicazione e a quel punto fu Lovell a rispondere: “Houston, abbiamo avuto un problema”. Oltre a rendere respirabile l’aria nell’astronave, l’ossigeno era utilizzato insieme all’idrogeno per alimentare le batterie di bordo, producendo energia elettrica.
Operazione rientro
L’allunaggio fu di conseguenza annullato: ora l’urgenza era quella di riportare sani e salvi sulla Terra i tre astronauti. Il modulo di comando Odyssey era ormai fuori uso.
L’equipaggio si trasferì quindi nel lander Aquarius, utilizzando il modulo lunare come navetta di salvataggio.
Qui le condizioni erano inadatte ad un viaggio spaziale.
Il Lem era progettato per stare sulla Luna un massimo di due giorni con sole due persone a bordo.
Un passaggio dalla luna
Sulla Terra, tecnici ed esperti della NASA iniziarono a valutare gli scenari possibili e a discutere il tema più delicato di tutti: quale traiettoria far seguire ad Apollo 13 per riportarlo indietro. Dopo molte valutazioni, si decise che ci fosse un’unica opzione percorribile: farsi dare un passaggio dalla Luna sfruttandone l’attrazione gravitazionale per tornare nell’orbita terrestre senza spinta dei motori. I motori del modulo lunare vennero accesi precisamente per 34 secondi per modificare la traiettoria di rientro.
Una sfida anche sulla terra
Intanto, sulla Terra, una missione, che era iniziata come un viaggio ormai di routine verso la Luna e che si era trasformata in un’operazione di recupero senza precedenti e dagli esiti molto incerti, aveva riacceso l’interesse del pubblico. La NASA voleva evitare a tutti i costi un disastro, che avrebbe probabilmente messo fine al programma Apollo, il quale aveva già subito tagli significativi e gli Stati Uniti non volevano in alcun modo mostrare la debolezza delle loro tecnologie spaziali e militari, rispetto a quelle dell’Unione Sovietica, nell’ambito della Guerra Fredda.
Un lungo e tortuoso rientro
Fu un lungo viaggio di ritorno, scomodo, freddo e teso, anche respirare divenne un problema. Questo a causa della ridotta capienza del modulo lunare. Esso aveva sì ossigeno necessario, ma solo per due persone, mentre in quel caso erano tre. C’era anche il problema di rimuovere dall’ambiente l’anidride carbonica prodotta dalla respirazione dell’equipaggio. Il tutto fu risolto dalla NASA adattando i filtri del modulo di comando a quelli del modulo lunare, di forma e dimensione diversa.
Il rientro
Il 17 aprile 1970, quattro giorni dopo la fatidica frase “Huston, abbiamo avuto un problema!”, Lovell, Haise e Swigert riuscirono a tornare sulla Terra, con un ammaraggio di emergenza nell’Oceano Pacifico.
“Un fallimento di successo”
I problemi di progettazione di Apollo 13 hanno lasciato un segno sulla reputazione della NASA. Comunque, l’evento resta nella memoria quale brillante esempio di come l’agenzia spaziale sia stata in grado di risolvere un grave problema nello Spazio. Quindi, si può definire come un vero e proprio fallimento di successo poiché gli astronauti tornarono sani e salvi. Inoltre, la NASA seppe dimostrare tutte le sue potenzialità nel riuscire a gestire situazioni di emergenza.