Uno studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, fa luce sugli effetti che il buco nero al centro della nostra galassia, la Via Lattea, potrebbe aver avuto per l’abitabilità di pianeti di tipo terrestre.
Durante la fase di massima attività, il nucleo della galassia emette delle radiazioni ionizzanti. Queste radiazioni, in particolare quelle che vanno dalla banda ultravioletta fino ai raggi X, potrebbero aver privato i pianeti più vicini al centro galattico della loro atmosfera, rendendoli meno adatti a ospitare la vita. Inoltre, le radiazioni, potrebbero aver avuto effetti deleteri sugli eventuali organismi già presenti su questi pianeti.
La ricerca è apparsa sul n. 30 della rivista Scientific Reports, a firma di due astrofisici dell’Università di Tor Vergata: il Prof. Amedeo Balbi e il Dott. Francesco Tombesi. “le radiazioni avrebbero potuto cancellare un’atmosfera di massa equivalente a quella della Terra nel raggio di un migliaio di anni luce dal centro della galassia” spiega Balbi. Fortunatamente, il vento letale di raggi X e ultravioletti, secondo i due ricercatori, è stato importante nella fase iniziale della vita del buco nero, quando più divorava materia per aumentare di dimensioni. “Non è direttamente il buco nero a emettere radiazioni” precisa Balbi. “E’ la materia che viene attratta dalla sua gravità, accelera e si scalda”. Tra gli 8 e i 9 miliardi di anni fa, quando Sagittarius A* – il buco nero al centro della nostra galassia – ha probabilmente attraversato il periodo di maggior appetito, la Terra e il sistema solare non si erano nemmeno formati. “La fase di massimo accrescimento del buco nero” ha spiegato Tombesi a Media Inaf, la rivista online dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, “sarebbe durato secondo le nostre stime circa 50 milioni di anni”. Oggi, a differenza della sua infanzia, Sagittarius A* attraversa una fase di scarso appetito.
Nell’ipotizzare la presenza di vita nell’universo, gli scienziati avevano sempre tenuto conto delle radiazioni emesse da sorgenti tanto potenti quanto temporanee, come le esplosioni di supernovae o le emissioni di raggi gamma. Ma l’effetto “sterilizzante” dei buchi neri non era mai stato preso in esame. Eppure, come la Via Lattea, molte galassie ne hanno uno nella loro zona centrale. “Questa considerazione dovrebbe spingerci a rimodellare il concetto di zona abitabile galattica” spiega Balbi. “Non tutti i punti della galassia, infatti, hanno le stesse potenzialità di ospitare la vita”. L’elevato livello di radiazioni potrebbe aver compromesso lo sviluppo della vita di superficie, soprattutto nelle forme multicellulari, su pianeti privi dello schermo atmosferico, anche a distanze molto grandi dal nucleo galattico (fino a circa 10 mila anni-luce).
Questo lavoro apre un’interessante prospettiva multidisciplinare all’intersezione tra astrobiologia, astrofisica delle alte energie ed esoplanetologia, mostrando la necessità di ulteriori studi per comprendere appieno il legame tra l’ambiente galattico, l’evoluzione planetaria e le condizioni astrofisiche che rendono possibile la comparsa e lo sviluppo della vita.
Fonte: http://web.uniroma2.it/