Don Milani, maestro di una scuola per la vita

La storia di Don Milani comincia il 27 maggio 1923. Presbitero, scrittore ed educatore, è ricordato dal grande pubblico per la sua Lettera a una professoressa, un testo redatto insieme ai suoi studenti con l’intento di denunciare le criticità di un sistema scolastico che abbandonava i figli dei contadini e degli operai di un piccolo paese toscano, Barbiana, luogo in cui fonderà la sua “contro-scuola”. Una vita dedita all’insegnamento e ai giovani, circondata da non poche polemiche politiche – sia da parte di laici che di cattolici, oltre che democristiani – e volta a combattere l’indifferenza. Ricordiamo oggi Don Milani, un uomo che ha fatto del suo “I CARE” non un semplice slogan ma una vera e propria realtà.

Sono passati cento anni dalla sua nascita (1923-2023), eppure nemmeno il tempo è stato in grado di oscurare la sua ultima lezione, se di ultima, in questo caso, si può parlare.

L’indubbio ma discusso successo di Lettera a una professoressa (1967), dovuto o non al suo ruolo di libretto rosso per gli studenti del Sessantotto, ha consentito alle generazioni vecchie e nuove di ascoltare le voci di Sandro, Gianni e degli altri giovani autori provenienti dalla scuola di Barbiana. Tutti insieme hanno dato vita ad una testimonianza inedita di scrittura collettiva in cui è la lingua viva a parlare e a riappropriarsi degli spazi che i puristi e i classisti le avevano tolto. Questo lavoro corale deve la propria unicità alla storia che intende trasmettere, quella dei «persi», di chi è «bocciato», di chi è «ripetente», di chi è considerato «cretino» e chi «svogliato»: «figlioli di quale babbo»?

Lo Stato s’è scordato di loro. Non li scrive più nel registro scolastico e non li scrive ancora in quello delle forze di lavoro. Eppure lavorano e fra le righe della legge si scopre che si sa, ma non si dice. La legge 29-1-1961 «Sulla tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli» proibisce il lavoro prima dei 15 anni. Non vale per l’agricoltura. È giusto. La razza inferiore non ha fanciulli. Siamo tutti uomini prima del tempo. L’articolo 205 del testo unico INAIL stabilisce che ai contadini si paga l’infortunio sul lavoro dai 12 anni in su. Dunque si sa che lavoriamo.

(Don Milani, Lettera a una professoressa)

Figura 2 “Mestiere del babbo” in Lettera a una professoressa

La vita a Barbiana era semplice e altrettanto difficile: il piccolo paese, perso tra le colline del Mugello e poco distante da Vicchio, riuniva le case isolate di numerosi contadini e operai che non riuscivano a garantire ai propri figli un’istruzione scolastica adeguata. Nell’Italia degli anni ’60 rappresentavano le classi più povere e svantaggiate e la scuola era un lusso che non potevano permettersi. La terra richiedeva sempre più braccia, come anche la fabbrica. Per chi non nasceva come Pierino non era possibile immaginare un futuro diverso da quello dei propri genitori. La società italiana assumeva tutte le caratteristiche di un sistema chiuso, ritorto su sé stesso e incapace di guardare indietro, verso quegli ultimi che lo rendevano funzionante. Cristo si è fermato a Eboli, la Costituzione a Barbiana.

La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita (…). I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

(Costituzione della Repubblica italiana, articolo 34)

Figura 3 “I CARE” (lastElementChild)

I ragazzi di Don Milani hanno impressa nella mente la loro idea di scuola, quella che vivono e che respirano ogni giorno. Le loro parole si cristallizzano nella realtà dell’“I CARE”, in cui nessuno è escluso, «perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli».

E quale veicolo migliore se non la lettera per instaurare un dialogo con gli altri, per pungere le coscienze e riflettere sulle conseguenze di quella stessa “scuola negata” di cui anche Gavino Ledda ci offrirà la propria testimonianza in Padre padrone (1982). Il merito del maestro di Barbiana, come espresso da Tullio De Mauro nel documentario Rai “Il potere di non obbedire”, risiede nell’aver messo sotto gli occhi di tutti il problema centrale della scuola di base: un’educazione linguistica fragile ed elitaria. «Nella tradizione italiana con tanta forza questo era stato avvertito soltanto da un altro versante molto lontano ideologicamente da Don Milani, ovvero da Antonio Gramsci con i suoi Quaderni del carcere. Oggi capiamo meglio Gramsci grazie alla grande luce, alla grande forza di protesta e forza intellettuale di penetrazione nelle cose sprigionata da Don Milani». E così, il rapporto tra Gramsci e Don Milani diventa sempre più stretto: entrambi, anche se in tempi diversi, furono “figli-prigionieri” di un sistema politico che voleva metterli a tacere, il primo del «fascismo fascista» e, il secondo, del «fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo» sorto – usando una celebre metafora del Pasolini “corsaro” – con la «scomparsa delle lucciole». Entrambi risposero al silenzio forzato e imposto – nel caso di Don Milani si fa riferimento alla censura da parte del Sant’Uffizio di Esperienze pastorali (1958) – con delle lettere, testimonianze indiscusse del potere della parola. Come Gramsci nella lettera del 25 gennaio 1936 insiste sull’arretratezza del sistema scolastico e sul mancato possesso della lingua da parte di tutti gli studenti, così il maestro di Barbiana denuncia l’impossibilità per i figli dei contadini e degli operai di acquisire l’arte del leggere e dello scrivere. Da un punto di vista educativo, poi, entrambi concordano sul ruolo guida che deve assumere il maestro, il quale, indossando le vesti di “intellettuale subalterno”, svolge l’importante compito di mettere in contatto i suoi studenti con la realtà che li circonda. Don Milani, “regista” di una comunità auto-educante, offre in questi termini inedite proposte di metodo per “fare scuola”, lontane da un approccio teorico e con il fine di affrontare praticamente i problemi: nasce così la scuola a tempo pieno in cui “si impara ad imparare” e si entra nel vivo della lingua.

In Storia linguistica dell’Italia unita (1963), lo stesso Tullio De Mauro ripercorre con un approccio ancor più concreto quel terreno già attraversato dai suoi “scomodi” predecessori, affrontando il rapporto esistente tra scarsa conoscenza dell’italiano e scarsa scolarità elementare, media e media superiore. Il quadro complessivo che ne deriva mette nero su bianco le debolezze di un sistema democratico privo di capillarità ed uguaglianza, incapace di gestire un basso tasso di scolarizzazione e un analfabetismo dilagante nelle aree rurali. «La conoscenza delle parole è la chiave per una vera democrazia»: è questa l’eredità morale e civile che solo la sua “contro-scuola” ha saputo insegnarci; è questa la sua ultima lezione, se di ultima sia giusto parlare.

Federica Nardi

Fonti:

  1. La Grande Storia – Don Milani: il dovere di non obbedire
  2. Lorenzo Milani raccontato dai suoi allievi con una testimonianza di Pier Paolo Pasolini
  3. Testimonianze su Don Lorenzo Milani – Le tre grandi lettere di denuncia
  4. Pier Paolo Pasolini – “Il vuoto del potere” ovvero “l’articolo delle lucciole”
  5. Scuola di Barbiana, Don Milani, Lettera a una professoressa, Mondadori Libri S.p.A., Milano, 2017
  6. Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, 2014 (significative le lettere 36, 228, 387)

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