Il termine NEET (Not in Education, Employment or Training) indica i giovani tra i 15 e i 24 anni che non seguono un percorso di istruzione o formazione e non sono inseriti nel mondo del lavoro. Tra i NEET sono compresi non solo disoccupati che né studiano né cercano lavoro ma anche neolaureati e ragazzi che a causa della dispersione scolastica non hanno terminato gli studi.
Contrariamente a quanto si possa pensare, diventare NEET non è sempre conseguenza di decisioni personali o di un problema di apatia generazionale, ma, in realtà ci sono una serie di fattori di stampo sociale, psicologico ed economico che influenzano questa particolare condizione. Il numero di NEET varia in base a fattori come il genere, le migrazioni, eventuali disabilità, condizioni familiari, residenza, ed è significativamente correlato con il mercato del lavoro e con il sistema dell’istruzione.
La condizione di NEET ha forti ripercussioni sia sui singoli individui che a livello sociale. Rimanere per un periodo prolungato in questa posizione, aumenta il rischio di ritrovarsi svantaggiati per un futuro ingresso nel mondo del lavoro e può influire sullo sviluppo di problemi di natura fisica e mentale; i giovani che si trovano in questa situazione sono anche meno propensi nel prendere parte a iniziative politiche, culturali o sociali. Inoltre, un’alta presenza di NEET tende inevitabilmente a compromettere lo sviluppo economico del Paese.
I dati Eurostat più recenti rispetto a questo fenomeno sono preoccupanti, soprattutto per quanto riguarda l’Italia che si aggiudica il primato (in negativo) in Europa. Nel 2021 la percentuale di ragazzi tra 15 e 24 anni che non studiano e non lavorano all’interno del nostro paese è stata pari al 19,8%, seguita dal 18% della Romania e dal 16,4% della Serbia, mentre i dati migliori si ritrovano in Islanda, Olanda e Svezia, paesi che hanno percentuali medie di NEET tra il 5% e il 5,1%.
Inoltre, nel nostro paese si è anche riscontrato che la maggioranza di NEET è composta da donne, spesso ridotte al lavoro di cura non retribuito e non riconosciuto e limitate da un mercato del lavoro che predilige notoriamente l’assunzione di uomini.
Tramite il dossier 2022 “Osservatorio Indifesa” realizzato da Terre des Hommes, rete di 11 organizzazioni nazionali impegnate nella difesa dei diritti dei bambini e nella promozione di uno sviluppo equo, si è notato tra le donne che hanno partecipato che la maggior parte di queste hanno dichiarato di sentirsi ostacolate nelle loro scelte future da fattori come stereotipi di genere e pressioni sociali.
Un ulteriore elemento di particolare rilevanza in Italia è il divario tra Nord e Sud, infatti le regioni del Mezzogiorno sono tra le peggiori in Europa; in particolare la Sicilia che, sempre secondo i dati Eurostat, ha addirittura il 30,2% dei NEET italiani, seguita da Campania e Calabria. Questi dati non fanno altro che confermare la forte arretratezza del Sud rispetto al resto dell’Italia, in particolare per il basso livello di istruzione e per un mercato del lavoro estremamente limitato.
Nel 2020 si è osservato che nel Mezzogiorno un cittadino su tre, tra i 25 e i 49 anni, aveva al massimo la licenza media; chiaramente della situazione precaria ne risentono i tassi di occupazione giovanile che nel Sud Italia sono ben più bassi rispetto alla media italiana ed europea. Non aiutano tale condizione anche i forti flussi migratori dei giovani verso il Nord o direttamente verso l’estero.
Alla luce di quanto osservato è naturale domandarsi come si può combattere questo fenomeno e quali azioni possono essere intraprese. Il primo passo verso la risoluzione del problema risiede nel rafforzamento del sistema scolastico che dovrebbe avvenire tramite la concessione di più fondi per l’istruzione da allocare efficientemente. È evidente che i NEET spesso risultino demotivati, privi di desideri o convinti di non essere in grado di realizzare le loro aspirazioni e questo è dovuto ad una scarsa fiducia verso la scuola e l’istruzione. Per combattere questo tipo di disillusione sarebbero necessari percorsi di orientamento scolastico ben organizzati che permettano di individuare i punti di forza, debolezza e talento dei singoli giovani in modo da sostenere la loro generatività.
Inoltre, si dovrebbe ridurre il gap tra istruzione e mondo del lavoro affiancando a percorsi di tipo teorico esperienze pratiche, magari anche rafforzando l’attività già esistente di Alternanza Scuola Lavoro che negli ultimi anni non solo ha causato diverse polemiche, ma ha anche dimostrato di essere un sistema che nella sua formulazione presenta diversi difetti.
Ci sono già state delle iniziative rivolte alla gestione del problema NEET, come il progetto di UNICEF, NEET Equity, svoltosi tra il 2018 e il 2020. L’iniziativa è stata rivolta a 300 ragazzi tra i 16 e i 22 anni con lo scopo di aumentare il grado di conoscenza e informazione sulla condizione giovanile nel territorio italiano e creare spazi di ascolto e partecipazione per far emergere i talenti dei ragazzi. NEET Equity ha avuto riscontri estremamente positivi e ha dato il via a altri progetti di stampo simile.
Possiamo quindi affermare che i NEET non sono necessariamente lo specchio di una generazione svogliata e disinteressata, sono più che altro il risultato di una mancata attenzione nei loro confronti da parte di uno Stato che non sembra essere in grado di allocare nel modo corretto le proprie risorse e il proprio impegno nel sostegno delle generazioni future, essenziali per lo sviluppo del nostro paese.
Fonti: