Figura 1 Illustrazione di Tullio Pericoli
29 giugno – 225 anni dalla nascita di Giacomo Leopardi
Pierre Véron considerava gli anniversari l’eco del tempo che passa, ma possiamo pensare che siano anche il modo migliore per tenere memoria di chi ha reso grande la nostra Storia o anche un’occasione speciale per leggere, o rileggere, i libri degli scrittori che più amiamo.
Tra gli anniversari più importanti del mese di giugno del 2023 spicca il compleanno del celeberrimo autore ottocentesco Giacomo Leopardi.
«Sempre caro mi fu quest’ermo colle …» chissà in quanti leggendo l’Infinito di Leopardi hanno desiderato, almeno una volta, di sedersi su quell’altura tranquilla, circondata dal verde e figurarsi gli «interminati spazi».
L’anima s’immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista s’estendesse per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario. (Giacomo Leopardi, Zibaldone)
Quest’avventura della mente del poeta che su un colle solitario e una siepe, che gli copre gran parte della visuale, lo spinge ad immaginare cosa ci sia al di là, coincide con la sua irrefrenabile voglia di vedere il mondo. Esasperato dall’ambiente familiare e dalla chiusura, soprattutto culturale, delle Marche, cercò di fuggire da casa, ma suo padre riuscì a prevenirlo e a sventare i suoi fugaci sogni di gloria. La sua volontà di allontanarsi non era da biasimare: cresciuto tra un amore opprimente, quello del padre Monaldo e quello sprezzante di sua madre, Adelaide Antici. Quest’ultima era nota per la sua esagerata parsimonia, al punto (si dice) da rallegrarsi della morte di un figlio neonato, in prospettiva del risparmio che ne sarebbe derivato. Inoltre, nei diari si racconta di come Adelaide non lo baciasse mai, neppure da piccolo, e di come invitasse lui e i suoi fratelli a gioire di ogni sventura e sofferenza in quanto doni di Cristo.
Sin dalla giovane età Leopardi era assetato di conoscenza: si gettò sui libri, tradusse i classici, praticò sette lingue, scrisse un dotto testo di astronomia e redasse un falso poema in greco antico, sufficientemente convincente da ingannare un esperto.
Lo studio «matto e disperatissimo», lo portò alla consunzione fisica: dai sedici ai ventuno anni il suo corpo sfiorì. Il tempo trascorso seduto nella biblioteca mal illuminata gli rese le gambe deboli, gli occhi quasi cechi e gli si formò una coppia di gobbe che in una circostanza definì «l’astuccio delle sue ali». Erroneo è pensare che il suo aspetto fisico gli impedisse una certa autostima: egli era pieno di sé e lo manifestava in pubblico, disprezzando spesso chi lo circondava e attirandosi antipatie. Tra quest’ultime Alessandro Manzoni che incontrò in occasione di una serata letteraria. Il giudizio di Leopardi sui Promessi Sposi non tardò: «Del romanzo di Manzoni (del quale io ho solamente sentito leggere alcune parti) le dirò in confidenza che qui le persone di gusto lo trovano molto inferiore all’espettazione».
In realtà le gobbe, quella posteriore sulla spalla sinistra e quella anteriore sul petto, insieme a tutta una serie smisurata di disturbi fisici, sono imputabili a una malattia ancora sconosciuta per l’epoca: la tubercolosi ossea, anche detta “Morbo di Pott“. La malattia gli aveva causato, a parte l’impotenza e i problemi di respirazione, anche una forte ipersensibilità alla luce, che lo costringeva a ridurre il tempo passato all’aperto nelle ore diurne. Le più recenti indagini hanno disatteso questa possibilità. Partendo dalle 1.969 lettere che compongono la corrispondenza del poeta, il neurochirurgo Erik Sganzerla, ha ricostruito le fasi della malattia, l’insorgere dei primi sintomi, la loro evoluzione, arrivando a formulare una nuova affascinante ipotesi che smonta quella finora più citata del Morbo di Pott o spondilite tubercolare. Secondo il medico monzese, l’autore dei Canti e dello Zibaldone era affetto da una malattia genetica rara: la spondilite anchilopoietica giovanile (malattia reumatologica infiammatoria cronica che interessa principalmente la colonna vertebrale). Altri studi invece affermano che Leopardi era affetto anche da «depressione psicotica». La diagnosi condotta dal neurochirurgo sembra smentire ciò. La sua malattia senz’altro ha influenzato i tratti caratteriali, ma non si può certo parlare di depressione in un uomo che come Leopardi viaggiò molto fino alla fine dei suoi giorni e continuò a creare moltissimo: La Ginestra o il fiore del deserto è una delle ultime poesie dell’autore.
Il suo aspetto, inoltre, lo portava a non lavarsi e a non curarsi affatto della propria igiene personale, cosa che ovviamente infastidiva chi gli stava vicino. Una giovane Matilde Serao chiese un giorno a Fanny Targioni Tozzetti come fosse riuscita a resistere al fascino di un grande poeta come Leopardi. Rispose seccamente con una sola parola: «Puzzava!». Pare che la repulsione per le forme del suo corpo fosse tale da impedirgli anche di lavarsi tanto che prima di dare la sua biancheria alla lavandaia bisognava disinfestarla dai parassiti.
Grazie ai resoconti lasciati dal suo celeberrimo amico Antonio Ranieri, sappiamo che Giacomo Leopardi faceva colazione nel pomeriggio e pranzava anche a mezzanotte, pretendendo che si cucinasse esclusivamente per lui a qualsiasi orario. Inoltre sono noti i 49 Desiderata, ovvero i 49 cibi che lui più amava e desiderava, tanto della cucina marchigiana, della quale sentiva la mancanza quando era lontano da casa, quanto di quella napoletana. Tra questi ricordiamo i maccheroni alle zucche fritte, pastefrolle al frappé, fegatini alle polpette. È tanta la sua passione per il cibo, e soprattutto per i dolci, che una delle supposizioni sulle cause della sua morte riguarda un’indigestione di gelati e confetti. Questa versione è condivisa da studiosi e biografi. Proprio per questa avida passione per i dolci fu il primo a scrivere un verso in onore di un pasticcere, Vito Pinto, i cui taralli e gelati erano la sua passione; e anche un sonetto per la cuoca Angelina di cui amava le lasagne. Durante il suo soggiorno a Napoli, la città in cui il poeta morì, egli ricordò «les glaces à la napolitaine», cioè i tanto amati tarallucci zuccherati. Durante il ventennio fascista lo scrittore e pittore Alberto Savinio scrisse sulla rivista Omnibus un articolo dedicato a Leopardi, dicendo che il poeta golosissimo di taralli dolci, gelati, cassatine, mantecati, era sicuramente morto di «quella che i napoletani chiamano ‘a cacarella» per via delle scarse condizioni igieniche delle pasticcerie e caffè dell’epoca. Il Duce si infuriò e fece chiudere la rivista. Leopardi desiderava i dolci tanto quanto odiava la minestrina e scrisse un sonetto, intitolato A Morte la Minestra, dedicato alla repulsione che gli suscitava questo piatto. E aveva anche una predilezione per il vino: ne esaltava il potere quasi terapeutico. Nella celebre opera Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura Leopardi scrive: «Dicono e suggeriscono che volendo ottener dalle donne quei favori che si desiderano, giova prima il ber vino, ad oggetto di rendersi coraggioso, non curante, pensar poco alle conseguenze, e se non altro brillare nella compagnia coi vantaggi della disinvoltura».
Figura 2 Illustrazione di Tommaso Guaita
Due dei più grandi punti di domanda sulla vita di Leopardi riguardano la sua morte e la sua sepoltura. L’idropisia polmonare è la causa più accreditata della prematura morte di Giacomo Leopardi, così come si legge nel referto ufficiale diffuso dall’amico Antonio Ranieri. Altre ipotesi meno accreditate parlano di indigestione di confetti o addirittura di colera, causa di morte più realistica per un poeta restio all’igiene personale.
Il mistero si infittisce il 21 Luglio del 1900: In occasione della riesumazione in seguito alla proclamazione della tomba come monumento nazionale, si scoprì che la cassa che conteneva i resti del Poeta di Recanati era rotta e i presenti notarono che mancava il cranio. Tra le ipotesi quella di un muratore sbadato che durante i restauri della Chiesa di San Vitale avrebbe scoperchiato la bara perdendone e rovinandone il contenuto. Molti sostengono che il suo amico Ranieri abbia simulato il funerale del Poeta per non creare scandalo, facendo seppellire nella chiesetta una cassa semivuota, mentre la salma veniva gettata nelle fosse comuni. Secondo l’ipotesi più accreditata, il cranio di Giacomo Leopardi fu trafugato per essere sottoposto a esperimenti di frenologia, una dottrina pseudoscientifica che associa le funzione psichiche del soggetto alle particolarità morfologiche del cranio. I suoi resti sono conservati a Napoli nel Parco Vergiliano.
Quando nutriamo ammirazione, idolatriamo qualcuno, chiunque esso sia, vorremmo ingenuamente che fosse una creatura coerente e perfetta, anche nella vita privata, d’ogni giorno. Gli ideali alimentano ma poi deludono. Ognuno porta con sé un lato umano e un lato più grottesco, recondito, segreto: Giacomo Leopardi, poeta dell’Infinito, era una vera e propria enciclopedia di stranezze e vizi.
Con l’arrivo della stagione estiva ricordiamo Leopardi attraverso lo slancio vitale di queste parole:
L’estate, oltreché liberandoci dai patimenti, produce in noi il desiderio de’ piaceri, ci dà anche una confidenza di noi stessi, e un coraggio, che nascono dalla facilità e libertà di agire che noi proviamo allora per la benignità dell’aria. Dalla qual sicurezza d’animo, e fiducia di se, nasce, come sempre, della magnanimità, della inclinazione a compatire, a soccorrere, a beneficare; siccome dalla diffidenza che produce il freddo, nasce l’egoismo, l’indifferenza per gli altri... (Giacomo Leopardi, Zibaldone)
Trovare nell’estate un rifugio sicuro dalla malinconia: in questa stagione dove più facile è essere raggianti e spensierati, è tempo di gettare le inutili vesti della tristezza.
Giulia Sabatini
Fonti:
- https://it.wikisource.org/wiki/Pensieri_di_varia_filosofia_e_di_bella_letteratura/171
- https://it.wikisource.org/wiki/Pagina:Zibaldone_di_pensieri_VII.djvu/236
- https://www.conoscenzealconfine.it/giacomo-leopardi-le-verita-sulla-vita-del-poeta-di-recanati/
- https://www.oltreirestinews.it/i-segreti-curiosi-di-g-leopardi/
- T. Guaita, L. Di Giovanni, Vite segrete dei grandi scrittori italiani. Tutto ciò che non vi hanno mai raccontato sui grandi scrittori italiani, Mondadori Electa, Verona, 2015.